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Mostro di Firenze: la vicenda in base alla prospettiva del criminal profiling

Mostro di Firenze: la vicenda in base alla prospettiva del criminal profiling

Pubblicato il 21 Luglio, 2020

Chi non conosce il mostro di Firenze? Nella Toscana degli anni Settanta e Ottanta del Novecento, ha ucciso giovani coppie appartate in auto. Ha infierito soprattutto sulle vittime femminili. Luca Marrone (nella foto), specializzato in Psicologia forense e Criminologia, è perito del Tribunale in materia di analisi della scena del crimine; è un docente di Criminologia e Scienze forensi che lavora all’Università Lumsa di Roma e vive ad Avezzano. Con Micaela Marrazzo, sua allieva e autrice di una (assai apprezzata) tesi di laurea in argomento, ha scritto Il Mostro di Firenze. Scene del delitto e profili criminologici. Il libro di Edizioni Edup conta 240 pagine e ha un prezzo pari a 18 Euro.

Mostro di Firenze: i dubbi del profiler

Si legge nel testo: “Il filosofo della scienza Charles S. Peirce era solito definire ‘irritazione del dubbio’ quell’irrequietezza che coglie ciascuno di noi dinanzi all’ignoto e che ci induce ad esplorarlo per giungere a comprenderne le dinamiche nascoste (o ad accettare fideisticamente un assunto indimostrato) pervenendo così al più rassicurante ‘fissarsi della credenza’. A osservare la consistente mole di pubblicazioni dedicate al mostro di Firenze ed i contributi, talvolta assai agguerriti, presenti su internet, si direbbe che, in effetti, la soluzione del caso cui si è pervenuti in sede investigativa e giudiziaria (delitti commessi dai cosiddetti ‘compagni di merende’, probabilmente su incarico di un misterioso e sfuggente consesso di insospettabili) non sia valsa a determinare, tra gli esperti ed appassionati del caso, il peirciano fissarsi della credenza e che non si sia dunque rivelata idonea a vincere l’insistente e fastidiosa irritazione del dubbio.”

Mostro di Firenze: l’assassino ha agito da solo?

Nel processo, tutto si basava sulla confessione di un pentito. I compagni di merende avrebbero avuto mandanti non identificati. Qualora questa tesi cadesse, si delineerebbe l’ipotesi di un mostro che avrebbe agito da solo: questo è lo scenario più attendibile, dopo aver letto il libro (ma il testo, con il suo ben orchestrato castello di profili criminologici, non si riduce a questo).
Il pentito Lotti è stato sottoposto a perizia psicologica, ma non era un mitomane: dalle indagini si evince che avesse sì deficit cognitivi, ma non tali da giustificare confessioni che alcuni ritengono false. Sono stati sollevati dubbi sulla sua attendibilità: è lui a portare alla ribalta la tesi dei “compagni di merende”. Il mostro avrebbe agito in solitudine? Dobbiamo pensare alla figura di un assassino solitario? Non abbiamo certezze.

Mostro di Firenze: la parola all’autore del libro

Come tutto è incominciato? “La prima analisi in questo senso risale al 1981 e ne fu incaricato lo psicologo Carlo Nocentini. Nel 1984-85, gli inquirenti chiesero delle valutazioni al professor Francesco De Fazio e ai suoi collaboratori dell’Università di Modena. Nel 1989 fu persino consultata la celebre Unità di Analisi Comportamentali dell’Fbi. E, nel 1994, durante il processo di primo grado a carico di Pietro Pacciani, la difesa si avvalse del contributo, sempre in termini di profiling, del criminologo Francesco Bruno.”
Un ginepraio, nel quale è difficile penetrare? “Parliamo di decenni, nel corso dei quali le indagini si sono stratificate: un mistero impenetrabile, difficile da ricostruire a livello storiografico. Via via che ci si addentra nella vicenda, ci sono sempre meno dati incontrovertibili. La cosa più sbagliata sarebbe stata prendere posizione: abbiamo delineato il quadro, denso di documenti, evitando le congetture. Ci siamo attenuti alle analisi, che fanno parte della documentazione di indagini e dibattimento. Proponiamo scenari dei quali non siamo necessariamente convinti, ma che scaturiscono dai dati“.

Mostro di Firenze: ma Pacciani era stato condannato?

Come è noto, Pietro Pacciani muore prima che, a livello giudiziario, i giochi fossero fatti: la sentenza di assoluzione era stata annullata (la Corte di Appello aveva deciso senza sentire i testimoni della Procura, non nominati ma indicati con lettere greche: Alpha, Beta, Gamma…). La Cassazione aveva annullato e rinviato ad altra Corte di Appello per il giudizio finale. In primo grado, Pietro Pacciani era stato condannato. Dai documenti emerge un’opinione: non si tratta, qui, di stilare un profilo, ma di suggerire spunti in argomento. “Abbiamo ripercorso le analisi comportamentali stilate da esperti e criminologi durante le indagini: il nostro intento non era delineare l’ennesimo scenario. Abbiamo passato in rassegna il materiale dove possibile, sulla base della documentazione. Abbiamo svolto un’indagine a tavolino, mossi dall’interesse personale. Sottolineo il fatto che non abbiamo partecipato in modo diretto all’indagine: siamo coscienti dei nostri limiti, della nostra conoscenza indiretta. Avete di fronte a voi due accademici, che studiano un caso, senza la pretesa di risolverlo e dischiudere chissà quale prospettiva di indagine. Non proponiamo un profilo, ma passiamo in rassegna le problematiche e apriamo alla riflessione”. Si tratta di passare in rassegna il ponderoso materiale in argomento: “Un lavoro imponente è costituito, come detto, dalla perizia di Francesco De Fazio e colleghi, dell’università di Modena: lo scopo della Procura della Repubblica di Firenze, che prese l’iniziativa, era (1984-1985) ‘capire di quale soggetto potesse trattarsi, soprattutto a scopi preventivi e di indirizzo delle indagini, più che a fini probatori‘. Le categorie del profiling furono applicate sistematicamente, per la prima volta su un caso italiano. Come autori, abbiamo agito in termini accademici, più che giornalistici. Non abbiamo cercato lo scoop, ma abbiamo valutato le singole posizioni. Non diamo una soluzione, proponiamo lo scenario. E’ quel che ci sembrava onesto fare”. Tra le righe, certamente, potrebbe emergere qualche nostra opinione sui tratti peculiari del soggetto, le sue motivazioni, la sua collocazione sociale.”
“E’ men male agitarsi nel dubbio, che riposar nell’errore” (Alessandro Manzoni)

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