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Attese, trasferimenti, abbandoni: storia di Alfredo e degli altri, dispersi nell’inferno di una sanità malata

Pubblicato il 21 Agosto, 2020

Scrivono in tanti al governatore Emiliano, per segnalare episodi di ordinaria impotenza all’interno degli ospedali. Cento chilometri e dodici ore per una gastroscopia d’urgenza, 24 ore in barella senz’acqua e cibo per una visita che non ci sarà mai, medici curanti che alzano le braccia: “Io posso solo prendere la pressione”

“Sono le 22.50. Sono entrato in ospedale con mio padre alle 18.32. Prima di venire qui, al Perrino a Brindisi, siamo stati al PTA di Fasano. «Meglio Ostuni, no forse Monopoli». «Ma a Monopoli ci fanno casino se mandiamo “i vascolari” – dice una di loro – meglio di no». «Ma non hanno gastroscopia d’urgenza lì. Ma sì andiamo ad Ostuni. No, Brindisi», e nel tragitto decidono Brindisi. Sembrava impossibile ma alla fine sappiamo almeno dove andare. Un giro di bottiglia, due dita incrociate e vai che almeno sappiamo dove”. Comincia così l’ennesima testimonianza dall’inferno della sanità pugliese. A scrivere al governatore Emiliano, sulla sua pagina Facebook, è Domenico De Girolamo, finito in un girone dannato un 20 agosto del 2020 insieme a un papà che “ha vomitato sangue”, dunque riesce a guadagnarsi un codice giallo.

Un codice che non varrà a risparmiargli ore e ore in attesa fra tanti “codici verdi, un paio di codici bianchi e fortunatamente all’arrivo nessun codice rosso”. Via via che le ore passano, la definisce “una guerra fra poveri”: pazienti contro pazienti per una priorità, pazienti contro medici per uno sguardo mancato, medici contro medici per una quadratura che proprio non riesce, amministrativi in affanno, alla ricerca di soluzioni. «Signora – dice la responsabile dell’accettazione – dia una mano per il trasporto di suo marito in chirurgia». «Io?» chiede lei. «Si lei, signora. Altrimenti ci tocca aspettare. Noi abbiamo solo 3 barellisti e voi siete 80», scrive De Girolamo.

La sua testimonianza è lucida e poetica. La sua giornata negli inferi si è infine risolta con un ulteriore trasferimento a Lecce, dove suo padre è finalmente riuscito a ottenere, a notte fonda, una gastroscopia d’urgenza, dove la parola urgenza resta soltanto come omaggio alla ritualità documentale.

Non c’è rabbia, né caccia alle streghe, piuttosto stupore di fronte a tutta quella sofferenza incurabile: quella dei malati per prima, poi quella dei parenti, quella dei medici, degli operatori sanitari. Impotenza, ecco. Una impotenza che i malati condividono con chi è dall’altra parte, professionisti che non possono fare il proprio lavoro come nella maggior parte dei casi vorrebbero e potrebbero.

La pandemia da coronavirus ha scoperchiato il vaso, quello che dagli anni Ottanta in avanti è stato riempito di tagli e svuotato di cure. Lo abbiamo visto al Nord, dove gli ospedali hanno collassato insieme ai polmoni degli ammalati. Lo vediamo al Sud, al centro, nelle isole. Inutile cercare il governatore colpevole: è stato Fitto? No, è stato Vendola. Anzi, no, la colpa è di Emiliano. Tutti hanno tagliato, tutti hanno dovuto tagliare. La sanità è stata scientificamente e minuziosamente impoverita dall’alto. Scelte governative che arrivano da lontano e che oggi incassano questi risultati.

“Curo mia moglie per una presunta malattia detta alzheimer, ultimamente ho portato in autoambulanza mia moglie al pronto soccorso del Policlinico di Bari, stava molto male, dopo molto tempo che si lamentava l’hanno messa su una barella e lì sono rimasto dal mattino fino alle due della notte senza darle da bere e neanche da mangiare e per lavarla ho dovuto chiedere che mi aiutassero a farlo…..peggio delle bestie”, scriveva soltanto qualche giorno fa a Emiliano Alfredo Briganti. Un’altra testimonianza poetica: dolorosa, sì, ma non sguaiata. “Mia moglie sta morendo, sig. Emiliano il suo medico curante non si è mai visto e alla richiesta di una sua doverosa visita, ha ribadito ma io posso prenderle solo la pressione, ho fatto richiesta ben 6 mesi fa per visite mediche domiciliari ancora oggi aspetto una loro visita. Mia moglie sta morendo sig Emiliano, al pronto soccorso i medici mi hanno detto che io mi devo prendere cura di mia moglie, ma io lo sto facendo da ben sei lunghi e penosi anni, ma io non sono un medico, non so cosa fare se perde sangue dalle feci, io non so cosa fare se piange e si lamenta anche la notte, io non so cosa fare per farla bere o mangiare, io non so cosa fare per ridarle la dignità perduta”.

Il governatore risponde in fretta, chiede ad Alfredo il suo numero di telefono, certamente farà qualcosa. Ma nel frattempo cosa ne sarà di tutti gli altri Alfredo e delle loro mogli? Cosa ne sarà di quei turisti la cui vacanza è stata bruscamente interrotta da una sospetta colica renale, una ragazza in barella da ore, che piange per il dolore? Cosa ne sarà dei malati oncologici che il Covid ha rimandato indietro, insieme ai cardiopatici, gli ischemici, i cirrotici e via dicendo? Cosa ne sarà di chi entra per una caduta e finisce in un reparto “sospetto Covid”, dove pagherà anche le conseguenze dell’isolamento? Cosa ne sarà delle mamme separate dai loro compagni al momento del parto e lasciate a mendicare perfino un contatto con i loro neonati?

Tutti in fila per una risposta che non arriverà mai. Perché quello che accade oggi non è colpa di qualcuno, è colpa di tutti. Di un sistema che ci ha condotti il 20 agosto 2020 a questa guerra fra poveri.

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