Pubblicato il 18 Maggio, 2022
Novantanove case? È quel che si ricorda della storia dell’aquilano, creato dall’interazione dei borghi vicini. Non è più così. La periferia aquilana, già distorta e sformata ha subìto il terremoto, le periferie si sono definite disordinatamente, senza centro, senza fulcro. Si è determinato il Progetto case, senza una piazza, un luogo di ritrovo, un momento identitario, soltanto un posto per dormire e nulla più. Senza contare i disservizi per chi ci abita, che mille volte si sono susseguiti e hanno fatto notizia. Ma la soluzione poi?
Il capoluogo deve essere di nuovo potenziato, per i punti decisionali, il sociale e la sanità, non possiamo dipendere dalla costa. Il collegamento diretto con Roma a livello di trasporti ferroviari deve diventare la realtà e in argomento tecnologia (banda ultralarga) le idee si devono muovere come le persone. La città deve diventare un unicum con i borghi, che devono essere serviti da uffici amministrativi dedicati e funzionanti. L’amministrazione deve essere vicina al cittadino, nella pratica, ascoltando direttamente i suoi problemi e facendosene promotrice.
I fondi acquisiti nella Capitale devono essere utilizzati in loco e non essere ignorati. I ricercatori che lavorano all’estero devono avere la possibilità di lavorare in Italia e Univaq deve essere incentivata, per i vantaggi culturali che questo comporta e le occasioni di promuovere cultura. I giovani sono il polmone della nostra economia, dobbiamo coltivarli anche prima della laurea e formarli al lavoro: i corsi di formazione devono creare davvero posti di lavoro e realtà operative come i nostri call centre devono restare in città. Il Progetto case deve tornare funzionale e acquisire punti di ritrovo. La verde L’Aquila deve rendersi spendibile con occasioni di promozione delle nostre eccellenze turistiche e di benessere, per una realtà vicina al visitatore, a chilometro zero.
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