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Elezioni USA. Il ruolo della stampa locale

Durante questa campagna elettorale americana abbiamo assistito a diversi colpi di scena, scoop giornalistici messi a segno da importanti testate che in qualche caso hanno influenzato l’opinione pubblica. Ma nel quadro delle elezioni americane anche la stampa locale ha avuto un suo peso, agendo in modo coordinato e capillare.

Pubblicato il 26 Ottobre, 2020

Durante questa campagna elettorale americana abbiamo assistito a diversi colpi di scena, scoop giornalistici messi a segno da importanti testate che in qualche caso hanno influenzato l’opinione pubblica. Ma nel quadro delle elezioni americane anche la stampa locale ha avuto un suo peso, agendo in modo coordinato e capillare.

Nel 2020, a mano a mano che ci avvicinava alla data dell’appuntamento elettorale, abbiamo visto un sempre maggiore impegno dei giornali americani nel proporre report su ogni aspetto dei candidati, dei loro programmi e dei loro partiti, ma mentre l’attenzione cadeva sui grandi scoop come quello del New York Times che rivelava le tasse del presidente o le registrazioni di Bob Woodward, altra stampa giocava un ruolo nella partita. Nella penombra infatti procedeva il lavorio di piccoli quotidiani distribuiti fisicamente e digitalmente sul territorio degli Stati Uniti che, spesso senza dichiaralo apertamente, svolgevano un ruolo nella propaganda di parte.


Il tema della stampa locale era già emerso nel 2019 su diverse testate come il New York Times, il Guardian, la Columbia Journalism Review e Vice, ma poi l’argomento è caduto un po’ nel dimenticatoio fino al 18 ottobre 2020. In questa data infatti il New York Times lo ha ripresentato con una sua inchiesta dedicata alla nuova dimensione dell’informazione di territorio, che è a corto raggio solo in apparenza e in realtà si trova inserita in un disegno più ampio, di natura politica.
Per raccontare questa storia occorre però andare indietro di una decina di anni, con nuovi protagonisti che si affacciano al mercato delle news fiutando il progressivo indebolimento della stampa locale tradizionale e le difficoltà economiche di testate storiche legate al territorio.


Ai giornali boccheggianti, passo dopo passo, si affiancano nuove entità di natura digitale che iniziano a fornire un servizio di news in outsourcing a basso costo, notizie prodotte grazie all’ingaggio di giornalisti freelance sparsi qui e là negli Stati Uniti, nell’Europa dell’est e in Asia. A far luce su questa nuova stagione del giornalismo di territorio, o presunto tale, è il freelance Ryan Smith che nel 2012 decide di raccontare al programma radio This American Life il dietro le quinte di alcune “local news”. La sua storia, diffusa in anteprima alla radio e poi ripresa da altre testate come NPR, Columbia Journalism Review, Media Nation o The Guardian, spiega il modus operandi di un provider di contenuti “iperlocali” chiamato Journatic LLC. Una società avviata come sito di notizie legate al settore immobiliare (Blockshopper LLC) e poi cresciuta rapidamente fino a produrre contenuti con cui popolare un buon numero di giornali fra cui il Chicago Tribune in Illinois, il Houston Chronicle in Texas, il San Francisco Chronicle in California, il Newsday a Long Island e altri ancora. Journatic al tempo in cui è emersa questa vicenda aveva 60 dipendenti a tempo pieno e 200 freelance. Tutte le risorse coinvolte nella produzione di news locali, comprese 100 persone ingaggiate a bassissimo costo in paesi come le Filippine, scrivevano le notizie sotto falso nome e questi articoli venivano poi inseriti nei giornali del territorio, i cui lettori non avevano la minima idea che qui pezzi fossero scritti da persone che nella loro città o nella loro contea non avevano mai messo piede.


Il CEO (Chief Executive Officer) di quest’azienda fornitrice di notizie locali a basso costo era un ex reporter televisivo di nome Brian Timpone, un uomo ora a capo di un network che conta 1300 siti dedicati all’informazione “della porta accanto” nonché il principale protagonista dell’inchiesta del New York Times.
Timpone, passato dall’approccio giornalistico tradizionale a quello digitale, è riuscito a infilarsi in una crisi di settore epocale sostituendosi ai quotidiani che fino a quel momento erano stati i protagonisti del mercato dell’informazione.
Fra il 2004 e il 2018 negli Stati Uniti sono stati chiusi ben 1800 giornali e come ha evidenziato l’University of North Carolina in un suo studio 1300 comunità del territorio americano sono rimaste senza copertura informativa. In questi ampi spazi si sono dunque buttati nuovi player come Brian Timpone e suoi affini che sanno come sfruttare le chance offerte dalle nuove tecnologie.
Con l’arrivo di questi nuovi protagonisti il panorama della stampa locale, prima caratterizzato da una miriade di entità fra loro eterogenee, si è progressivamente trasformato in un unico sistema, una rete di testate che all’occorrenza possono muoversi all’unisono e spingere notizie o punti di vista atti a orientare l’opinione.


Un esempio di uso strumentale della stampa di territorio è quello riportato da The Guardian nel novembre del 2019. In un piccolo centro dell’Illinois chiamato Hinsdale era stato indetto un referendum per decidere se pompare o meno dei nuovi fondi nel sistema scolastico vista la carenza di denari denunciata dal distretto. Come in tutte le chiamate alle urne anche in quel caso si formarono due fronti, il comitato del Sì e il comitato del No, ognuno dei quali portava avanti le sue istanze. Una cosa curiosa accadde però nell’ambito delle news locali con la testata Hinsdale School News, stampata su carta, marchiata con di logo del distretto scolastico (Hinsdale High School District 86) e distribuita fra i votanti della città. Questa pubblicazione di carattere apparentemente giornalistico era stata tappezzata da articoli che remavano contro i propositi del referendum, ma questi pezzi non erano stati apertamente dichiarati come contenuti politici, commissionati da una parte. A un certo punto fu un altro giornale, The Hinsdalean, a fare chiarezza pubblicando una dichiarazione degli ufficiali del distretto in cui si diceva che l’High School District 86 non centrava nulla con quanto pubblicato da Hinsdale School News, un quotidiano che di fatto stava cercando si imbrogliare l’elettorato.
Ma l’Hinsdale School News non era una testata randagia che vagava per conto suo, aveva infatti alle sue spalle Locality Labs, una società nata nel 2013 che si presenta come fornitrice di notizie locali e gestore di decine di siti web che fanno informazione su aree quali l’Illinois, il Michigan, il Maryland e il Wisconsin.


Secondo quanto riportato dal Lansing State Journal il 21 ottobre dello scorso anno, il network di Locality Labs si è arricchito di quasi 40 nuove testate digitali nel giro di un autunno. Una struttura in rapida espansione.
Anche in questo caso a capo della società risultò esserci il signor Brian Timpone, l’ex giornalista e uomo d’affari conservatore che abbiamo già incontrato come CEO di Journatic e che risulta essere alla base di altre reti di informazione come quelle formate dalle testate di Franklin Archer, Metric Media e Local Government Information Services (LGIS).
Su questo nuovo panorama dell’informazione locale aveva già avuto modo di esprimersi il New York Times, nell’ottobre del 2019, con un breve articolo intitolato “Imitando le notizie locali, una rete di siti web del Michigan spinge la politica” in cui si raccontava di un falso mondo dell’informazione, fatto di piccole news locali fra le quali si infilano con destrezza messaggi politici di stampo conservatore resi in forma di articoli e ripetuti poi, tali e quali, su tutte le testate del network informativo.


Il New York Times nel suo pezzo offriva anche il racconto di un dipendente della Michigan State University che un giorno indugiando sul “news feed” (bacheca) di Facebook si era trovato davanti a un post il cui link portava al The Lansing Sun, un portale di news apparentemente locali. Incuriosito dal nome del giornale, che suonava di provincia ma di cui non aveva mai sentito parlare sul territorio, il lettore si era messo a cercare informazioni scoprendo una rete di circa 40 testate “local sounding” che, fra una notizia sul costo dei carburanti e un comunicato stampa relativo a qualche evento cittadino, spacciavano articoli quasi in fotocopia riguardanti tasse, presunte frodi elettorali e costi del sistema scolastico. Tutti pezzi scritti per incontrare il gradimento di un pubblico conservatore e mandati in circolo anche grazie agli strumenti offerti dalle piattaforme social.


Dopo l’iconico quotidiano di New York sull’argomento tornò anche la Columbia Journalism Review con una bella indagine intitolata “Centinaia di testate giornalistiche locali di tipo ‘melma rosa’ stanno distribuendo storie algoritmiche e spunti di discussione conservatori”. Nel suo articolo la rivista giornalistica raccontava di aver scoperto “almeno 450 siti Web facenti parti di una rete di testate giornalistiche locali ed economiche, ciascuna delle quali distribuisce migliaia di articoli generati da algoritmi e un piccolo numero di racconti di cronaca” e poi continuava avvertendo che “Queste reti di siti possono essere utilizzate in vari modi: come “palcoscenico” per eventi, per focalizzare l’attenzione su questioni come le frodi degli elettorali e il prezzo dell’energia, fornire un’apparenza di neutralità per proporre questioni di parte o per raccogliere dati degli utenti che possono poi essere utilizzati per il targeting politico.


Nell’ambito della sua inchiesta la Columbia Journalism Review andò ad analizzare alcuni di questi portali controllando la loro origine, i loro legami attraverso gli indirizzi IP e i contenuti in transito. Da questo alacre lavoro si capì ad esempio che un blocco di 189 nuovi siti legati alla società Metric Media erano stati aperti tutti assieme nel 2019. Poi, osservando la loro attività per un periodo di due settimane scoprirono che su queste testate “erano state pubblicate oltre quindicimila storie uniche (oltre cinquantamila se aggregate tra i siti), ma solo un centinaio di titoli erano intestati a giornalisti umani. Il resto citava servizi automatizzati o comunicati stampa.”
Questo è esattamente il modo in cui operano questi local news website, cioè con un uso massiccio di intelligenza artificiale che attinge da testi prodotti da organismi federali o aziende e la scrittura umana limitati a pochi pezzi, spesso suggeriti da entità esterne portatrici di interessi, le quali possono essere figure politiche o imprenditoriali che hanno personali motivazioni a far circolare capillarmente sul territorio determinati messaggi, per creare pressione e influenzare i cittadini.

A quasi un anno di distanza da questi report, i siti web riconducibili a un unico progetto di presidio informativo (e politico) del territorio sono cresciuti esponenzialmente, tanto da costringere chiunque voglia farsi un’idea su questo network a compiere una sorta di viaggio interstellare.
Iniziando a girare all’interno della galassia informativa che fa riferimento a Mr Timpone si incontra per esempio la rete che copre lo Stato dell’Illinos (LGIS), un insieme di 25 siti web e 11 giornali cartacei. Poi, proseguendo, ci si imbatte nel network della società Franklin Archer il cui CEO è Micheal Timpone, fratello di Brian. Questo info-cosmo è formato da due gruppi di testate: “Metro Business Daily”con 51 siti orientati all’economia e “Local News Network” con 119 siti di notizie. Ognuno di questi due gruppi ha una sua missione specifica:
“Il Metro Business Daily Network è una fonte chiave di informazioni sul clima economico, sulle transazioni e sulla crescita degli stati per ispirare discussioni produttive tra i responsabili politici, i leader aziendali e il pubblico” e “Il Local News Network crede che le notizie siano parte integrante della promozione delle comunità locali. A tal fine, Local News Network aiuta le comunità a connettersi producendo più notizie in più parti del Paese rispetto a qualsiasi altro servizio di notizie”.
Continuando in questo viaggio galattico si entra poi nel sistema più grande, quello costituito dalle 966 testate della società Metric Media che si spalmano a gruppi su 49 stati, con una presenza più massiccia su territori quali la California, la Florida, il Michigan, il North Carolina, la Pennsylvania, l’Ohio e il Texas.


Le testate digitali della “galassia Timpone” si assomigliano un po’ tutte sia per formato che per linea editoriale, orientata verso le tematiche del mondo repubblicano.
Se per ipotesi si va a guardare fra i siti legati a Metric Media si nota subito che il layout delle pagine è esattamente lo stesso, le immagini usate sono le stesse e ciò vale anche per i titoli in cui spesso cambia solo l’indicazione geografica. Volendo fare alcuni esempi riferiti agli “stati chiave”, riportiamo gli headline pubblicati da alcune di queste testate digitali in data 23 ottobre 2020:
Nei siti rivolti alla Florida -> “Top marginal tax rate in Florida could reach 49.34% under Biden plan” (La massima aliquota fiscale marginale in Florida potrebbe raggiungere il 49,34% con il piano Biden)
Nei siti rivolti all’Ohio-> “Top marginal tax rate in Ohio could reach 54.14% under Biden plan” (La massima aliquota fiscale marginale in Ohio potrebbe raggiungere il 54,14% con il piano Biden)
Nei siti rivolti alla Pennsylvania-> “Top marginal tax rate in Pennsylvania could reach 52.41% under Biden plan” (La massima aliquota fiscale marginale in Pennsylvania potrebbe raggiungere il 52,41% con il piano Biden)
Nei siti rivolti alla Georgia -> “Top marginal tax rate in Georgia could reach 55.09% under Biden plan” (La massima aliquota fiscale marginale in Georgia potrebbe raggiungere il 55,09% con il piano Biden)
Nei siti rivolti al Michigan -> “Top marginal tax rate in Michigan could reach 53.59% under Biden plan” (La massima aliquota fiscale marginale nel Michigan potrebbe raggiungere il 53,59% con il piano Biden)
Nei siti rivolti all’Iowa -> “Top marginal tax rate in Iowa could reach 57.87% under Biden plan” (La massima aliquota fiscale marginale in Iowa potrebbe raggiungere il 57,87% con il piano Biden)

Ma questi portali non si basano solo sui loro network per far girare specifici contenuti e si appoggiano anche alle piattaforme social come Facebook dove sperano di acquisire viralità. Il New York Times nel suo articolo del 18 Ottobre 2020 cita come esempio la testata Kenosha Reporter che come molte altre uguali a lei si popola quasi unicamente di contenuti automatizzati, salvo destarsi quando accade qualcosa di grave a livello locale. Come si sa, nell’agosto del 2020 nell’area di Kenosha un uomo di colore è stato ucciso per mano della polizia e a questo accadimento sono subito seguite le proteste del movimento Black Lives Matters, che in alcuni casi si sono trasformate in rivolte e hanno portato a danneggiamenti. Il Kenosha Reporter è stato dunque attivato e usato come veicolo per mandare in circolazione una serie di articoli che miravano ai manifestanti, parlando dei precedenti penali di alcuni individui riconosciuti fra la folla. Uno di questi pezzi è riuscito a fare particolarmente breccia ottenendo 22.000 condivisioni su Facebook e riuscendo a raggiungere fino a 2,6 milioni di persone.

A questa panoramica sulla diffusione e strategia digitale si dovrebbe però aggiungere un appunto relativo ai giornali cartacei, che pure sono compresi nel portafoglio di questi network.
Una storia interessante a tal proposito la ha proposta il Cook County Chronicle nel 2016 raccontando del West Cook News, un giornale cartaceo gratuito che a un certo punto ha iniziato a girare nella contea, distribuito presso i supermercati e altri luoghi di passaggio, ma anche consegnato direttamente a casa dei votanti registrati, seppure non richiesto. Questa testata è stata creata dal presentatore conservatore di un talk show, Dan Proft, con i fondi del Liberty Principles Super PAC e in collaborazione con Brian Timpone in qualità di fornitore di contenuti mediante la società Local Labs. Questo vettore informativo cartaceo ha ovviamente implementato il genere di comunicazione auspicata da chi lo ha fatto nascere e così hanno fatto tutte le altre testate a lui affini per natura e indirizzo.

La rete di informazione locale legata a Brian Timpone non ha dunque come reale missione il riferire agli abitanti la cronaca del villaggio, o pubblicare gli eventi in programma in una certa zona e difficilmente ha come scopo il guadagno derivante dalla circolazione di notizie cittadine ma guarda oltre, in un’ottica politica nazionale da cui per altro arrivano i soldi veri.
Questo sistema si nutre di denari che arrivano dalla politica, da gruppi di attivisti, portatori di interessi di parte e i PAC (Political action committee) che raccolgono fondi per supportare le campagne elettorali dei politici, spingere o avversare i referendum o le assegnazioni di cariche governative, o nel sistema giudiziario.
A questi comitati (PAC e Super PAC) non è permesso fare donazioni dirette ai candidati ma è consentito sostenere spese per la comunicazione, che può essere sia pro che contro un candidato alle elezioni. Questo è dunque un importante rubinetto da cui si approvvigionano le testate ma nel caso della “galassia Timpone” non è l’unico. I portali che orbitano attorno a lui infatti accettano soldi direttamente dai candidati che, come riportato dal New York Times quest’autunno, dettano e pagano per la diffusione delle loro istanze e lagnanze senza che però questo venga chiaramente indicato, come imporrebbero le regole del settore.


Davanti a questo scenario, popolato da un’estesa rete di testate locali che propagandano le idee tipiche della destra, il mondo dei democratici e dei liberal non è però restato a guardare ma ha iniziato a strutturarsi, per competere nel mondo della comunicazione locale e soprattutto digitale.
Come rilevato da Quarz lo scorso aprile nella stessa prateria sgombra in cui si sono accomodate figure come quella di Mr Timpone hanno iniziato ad arrivare anche giornali che, pur dando le notizie in modo più o meno preciso, tradiscono un’inflessione partigiana. Fra gli esempi portati ci sono l’UpNorthNews nel Wisconsin e The ‘Gander Newsroom in Michigan. Ma questi due siti, come ha fatto notare anche Vice sono solo due di un network facente capo a Courier Newsroom, una media company che si definisce progressista e dichiara di essere di proprietà dell’organizzazione non-profit chiamata Acronym e di altri investitori locali. Questa rete di siti news vicini ai Lib/Dem si compone di otto testate: Courier, Dogwood, The Copper Courier, UpNorthNews, Cardinal & Pine, The Keystone, The Americano, The ‘Gander. Ognuna di questa costituisce un canale per far passare i messaggi cari ad Acronym e spingere annunci pubblicitari di parte con cui sensibilizzare l’elettorato.

Secondo un’analisi di Bloomberg Businessweek questi portali news non sono stati immaginati per essere dei siti dove i lettori arrivano da soli per leggere delle notizie ma sono pensati per “diffondere gli articoli tramite i social media, inclusa la pubblicità online mirata”. Da alcuni dati rilasciati da Facebook e pubblicati in seguito da Bloomberg si è visto, ad esempio, che nel solo mese di novembre del 2019 Courier aveva raggiunto 25 milioni di persone attraverso Facebook. E questi elettori non erano stati intercettati a caso ma mediante un fine lavoro di micro-targeting, operato anche ai servizio di società come TargetSmart che vendono informazione sui votanti. Attraverso Facebook arriva poi un altro dato relativo a gennaio 2020, un mese in cui Courier Newsroom ha speso ben $180.000 per spingere i suoi articoli. Dunque il vero obiettivo del sistema di Courier Newsroom è quello di fare azione di contrasto alle “echo chamber” dei conservatori puntando su “notizie di città iper- targettizzate” che catturano il pubblico sui social.

Dietro a questa strategia comunicativa c’è Tara McGow, la fondatrice di Acronym (anche ex giornalista a 60 Minutes e CBS News), che dopo la bruciante sconfitta dei democratici alle presidenziali 2016 aveva iniziato a insistere perché il suo partito iniziasse a capire il ruolo giocato dai social nel mondo di oggi e il peso che può avere sul voto il dominio dei social da parte di Donald Trump. Quello che i Dem capirono però dall’analisi post voto è che Hillary Clinton aveva mancato la Casa Bianca per soli 80,000 voti distribuiti in tre stati (Michigan, Pennsylvania e Wisconsin) dunque loro non avrebbero dovuto preoccuparsi di combattere lungo tutto il fronte di propaganda digitale di Trump ma solo su una porzione, quella relativa alla comunicazione indirizzata a specifiche comunità, che con la loro preferenza elettorale avrebbero potuto farli vincere. Da questi presupposti è partita Acronym per la costruzione della struttura di Courier Newsroom, un sistema di local news decisamente più piccolo di quello dei conservatori ma molto mirato.

In base a quanto dichiarato sul suo website, Acronym è “un’organizzazione senza scopo di lucro impegnata nella costruzione di infrastrutture digitali al servizio del movimento progressista”. Essa afferma di voler portare avanti cause progressiste attraverso comunicazioni innovative, pubblicità e l’organizzazione di programmi mediatici “mirati per istruire, ispirare, registrare e mobilitare gli elettori”. Di Pacronym non si conoscono i nomi di tutti i contributori, perché la legge consente l’anonimato, ma secondo il Federal Election Committee le donazioni avrebbero varia origine, dagli hedge funds a  Silicon Valley passando per l’immancabile Hollywood.
Questa organizzazione di carattere politico ha a sua volta dietro di se un’entità che la sostiene economicamente, un PAC (Political Action Committee) chiamato Pacronym formato nel 2017 per fare opposizione ai repubblicani durante le elezioni di medio termine del 2018. Poi il focus di Pacronym si è fissato sull’obiettivo grosso cioè tentare di ostacolare la rielezione di Trump nel 2020 attraverso il lancio di campagne pubblicitarie digitali. Di Pacronym non si conoscono i nomi di tutti i contributori, perché la legge consente l’anonimato, ma secondo il Federal Election Committee le donazioni avrebbero varia origine, dagli hedge funds a  Silicon Valley passando per l’immancabile Hollywood.
Questo PAC non è per nulla timido a proposito delle sue intenzioni e degli strumenti che usa per raggiungere i suoi obbiettivi: “Pacronym sta conducendo la più grande campagna interamente digitale rivolta agli elettori chiave negli “stati campo di battaglia”. Facendo pubblicità su Facebook, Instagram, Snapchat e altre piattaforme digitali (Google, Hulu, Instagram, Pandora e YouTube), stiamo raggiungendo gli americani dove trascorrono il loro tempo e mettendo in evidenza la posta in gioco delle elezioni di novembre. Aiutaci ad assicurarci che Trump non veda altri quattro anni alla Casa Bianca.”


Le parole che si sentono pronunciare da chi sta dietro a questa rete di pubblicazioni non sono molto diverse da quelle già espresse dalla parte opposta, quella Timpone. Tara McGowan, CEO di Acronym nonché stratega per le campagne ed ex direttore digitale del Super PAC democratico Priorities USA, dice infatti: “Stiamo guardando ai luoghi in cui riteniamo che ci sia un vuoto che dovrebbe essere riempito”. Ma la McGowan, andando indietro al 2017, affermava anche un’altra cosa che spiega le mosse fatte di recente: “I democratici stanno perdendo politicamente perché hanno investito nel raggiungere il pubblico sbagliato, attraverso i mezzi e i formati sbagliati, al momento sbagliato”. Da qui la svolta locale, con lo scopo di avvicinarsi agli elettori parlandogli più da vicino piuttosto che via media nazionali. Una strategia questa che i Dem si sono messi a copiare dalla concorrenza.


Ma Acronym non è l’unico ‘political action committee’ di area democratica ad aver pensato di agire attraverso l’investimento di denari nei media locali. Lo scorso anno infatti venne data notizia che il Super PAC Priorities USA, uno dei più grandi serbatoi che supportano la politica progressista, era pronto a erogare dei fondi ($100 millioni) per portare sui territori degli stati più indecisi dei contenuti comunicativi che favorissero il Partito Democratico.
Il motto di Priorities USA è “Lottando per i nostri valori progressisti”. Sul loro sito viene poi affermato che questo PAC “si batte per mobilitare quanti più americani possibile sulle questioni importanti che riguardano le loro vite e sta lavorando instancabilmente per proteggere il diritto di voto e garantire che il processo democratico sia accessibile a tutti i cittadini.
Stiamo costruendo un’infrastruttura per raggiungere questi obiettivi e persuadere e mobilitare gli elettori al fine di eleggere dei progressisti alla presidenza, al Congresso, agli uffici statali e locali”.
E quando al direttore della comunicazione di Priorities USA, Josh Schwerin, è stato chiesto in che modo il PAC volesse persuadere e mobilitare la sua risposta è stata: Questo dovrebbe essere coperto dalle news locali, ma i giornali locali stanno morendo. La nostra speranza è che possiamo contribuire a colmare un po’ quel buco con dei “paid media”, rendendo anche più facile per gli organi di stampa locali ancora esistenti di segnalare, fornendo punti di vista locali sulle politiche nazionali con fatti specifici e mediante persone che raccontino le loro storie.” In aggiunta, Schwerin ha anche precisato “Qualsiasi contenuto dietro cui il gruppo mette i soldi sarà etichettato come un annuncio.”


Al di là delle belle parole e degli alti concetti anche le iniziative editoriali sviluppate dal fronte democratico sono un cesto di news in cui infilate, all’occasione, veri e propri messaggi politici. Come titolava il Washington Post lo scorso febbraio, “Un sito web che voleva ripristinare la fiducia nei media. In realtà è un’operazione politica.” Il giornale aggiungeva poi che “Attraverso un investimento di 25 milioni di dollari in Courier e siti affiliati presenti in sei battleground states (stati campo di battaglia), Acronym mira a rimodellare l’ecosistema dei media digitali sfruttando la fiducia degli americani nel giornalismo locale.” Il Post si è poi mostrato critico anche sui finanziamenti che reggono il network di Courier Newsroom, facendo notare come questi non siano esattamente in chiaro. Lo status di non-profit consente infatti ad Acronym di non comunicare la lista completa dei contributori lasciando così molte domane aperte sul tema della trasparenza.

Ciò che invece appare già abbastanza chiaramente è che in alcuni ambiti del giornalismo si è passata la linea di confine fra l’informare e l’influenzare, senza preavviso. Queste operazioni messe in piedi da ciascuna delle parti coinvolte nella competizione elettorale americana rischiano di rimanere uno standard anche per il futuro, continuando a dipingere realtà di comodo, o vere e proprie surrealtà, da spacciare alla cittadinanza come fatti oggettivi riportati da stampa obiettiva.

Altre fonti: New York Times 21/10/2019, Michigan Daily 01/11/2019, opensecrets.org, usnewsdeserts.com, The Guardian 19/10/2020, cjr.org 18/12/2019, newsguardtech.com, Federal Election Committee

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