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Mattarella sulle foibe: “Si formò un muro di silenzio e oblio. Negare è un affronto alle vittime”

Pubblicato il 9 Febbraio, 2024

Nel corso del Giorno del Ricordo al Quirinale il presidente Sergio Mattarella ha affrontato il tema del massacro delle foibe, “dedicato alla tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra” esordendo così: “Un muro di silenzio e di oblio, un misto di imbarazzo, di opportunismo politico e talvolta di grave superficialità, si formò intorno alle terribili sofferenze di migliaia di italiani massacrati nelle foibe”.

Si è cercato di cancellare quei massacri, ma come ha osservato il presidente “i tentativi di oblio, di negazione o di minimizzare sono un affronto alle vittime e alle loro famiglie e un danno inestimabile per la coscienza collettiva di un popolo e di una nazione”.

“Anche l’Italia ha avuto il suo Muro di Berlino”

Ripercorrendo la drammatica storia di quegli anni, Mattarella ha ricordato che “il nostro Paese, per responsabilità del fascismo, aveva contribuito a scatenare una guerra mondiale devastante e fratricida; e fu grazie anche al contributo dei civili e dei militari alla lotta di Liberazione e all’autorevolezza della nuova dirigenza democratica, che all’Italia fu risparmiata la sorte dell’alleato tedesco, il cui territorio e la cui popolazione vennero drammaticamente divisi in due”.

Tuttavia, benché in Italia non fu costruito un muro simile come quello di Berlino, fu comunque costruito un muro ideologico che costrinse molti italiani a sentirsi stranieri a casa loro: “Questo tuttavia non evitò che le legittime istanze di tutela della popolazione italiana residente nelle zone del confine orientale fossero osteggiate, frustrate e negate. Il nostro “muro di Berlino”, certamente ben minore per dimensioni ma con grande intensità delle sofferenze provocate, passava per il confine orientale, per la cortina di ferro che separava in due Gorizia, allontanando e smembrando territori, famiglie, affetti, consuetudini, appartenenze”.

Le vittime trasformate in colpevoli

Mattarella ha poi evidenziato come la conferenza di Yalta sconquassò i confini italiani, creando le basi per il massacro delle foibe: “Il nuovo assetto internazionale, venutosi a creare con la divisione in blocchi ideologici contrapposti, secondo la logica di Yalta, fece sì che passassero in secondo piano le sofferenze degli italiani d’Istria, Dalmazia e Fiume. Furono loro a pagare il prezzo più alto delle conseguenze seguite alla guerra sciaguratamente scatenata con le condizioni del Trattato di pace che ne derivò. Dopo aver patito le violenze subite all’arrivo del regime di Tito, quei nostri concittadini, dopo aver abbandonato tutto, provarono sulla loro sorte la triste condizione di sentirsi esuli nella propria Patria. Fatti oggetto della diffidenza, se non dell’ostilità, di parte dei connazionali”.

Una situazione drammatica che, come osservato da Mattarella, trasformò le vittime in colpevoli: “Le loro sofferenze non furono, per un lungo periodo, riconosciute. Un inaccettabile stravolgimento della verità che spingeva a trasformare tutte le vittime di quelle stragi e i profughi dell’esodo forzato, in colpevoli, accusati indistintamente di complicità e connivenze con la dittatura, e a rimuovere, fin quasi a espellerla, la drammatica vicenda di quegli italiani dal tessuto e dalla storia nazionale”.

Colpevoli di essere italiani

Il Presidente della Repubblica ha poi ricordato le violenze che si perpetrarono a danno di militari e civili italiani autoctoni della Venezia Giulia, del Quarnaro e della Dalmazia: “La ferocia che si scatenò contro gli italiani in quelle zone non può essere derubricata sotto la voce di atti, comunque ignobili, di vendetta o giustizia sommaria contro i fascisti occupanti; il cui dominio era stato intollerante e crudele per le popolazioni slave, le cui istanze autonomistiche e di tutela linguistica e culturale erano state per lunghi anni negate e represse.

Le sparizioni nelle foibe o dopo l’internamento nei campi di prigionia, le uccisioni, le torture commesse contro gli italiani in quelle zone, infatti, colpirono funzionari e militari, sacerdoti, intellettuali, impiegati e semplici cittadini che non avevano nulla da spartire con la dittatura di Mussolini. E persino partigiani e antifascisti, la cui unica colpa era quella di essere italiani, di battersi o anche soltanto di aspirare a un futuro di democrazia e di libertà per loro e per i loro figli, di ostacolare l’annessione di quei territori sotto la dittatura comunista”.

L’UE, un baluardo contro ogni forma di totalitarismo

Il presidente è poi arrivato ai giorni nostri, ergendo l’UE come un baluardo contro i totalitarismi: “Pagine buie della storia, anche d’Europa, sembrano volersi riproporre. Disponiamo di un forte antidoto e dobbiamo consolidarlo e svilupparlo sempre di più. La costruzione dell’Unione europea, pur con i suoi ritardi e le sue carenze, ha rappresentato il ripudio della barbarie provocata da tutti i totalitarismi del Novecento e la concreta e valida direzione di marcia per guardare al futuro con fiducia e speranza.

In questo quadro nelle splendide terre di cui parliamo, oggi, grazie alla comune appartenenza all’Unione europea, non esistono più barriere o frontiere, ma strade e ponti. La diversità non genera più risentimento o sospetto, ma produce amicizia e progresso. Con Slovenia e Croazia coltiviamo e condividiamo, in Europa e nel mondo, i valori della democrazia, della libertà, dei diritti. E lavoriamo insieme per la pace, lo sviluppo, la prosperità dei nostri popoli, amici e fratelli. I giovani lo sanno e lo vivono”.

Infine Mattarella ha così concluso il suo intervento: “Gorizia, la città simbolo della divisione, è oggi associata, grazie a una generosa intuizione della Slovenia, a Nova Gorica: due città, due Stati, una sola capitale della cultura europea 2025. Occorre adesso lavorare alacremente, a livello europeo, perché anche gli altri Paesi dei Balcani Occidentali candidati all’ingresso nell’Unione possano compiere le procedure di adesione senza indugi o ritardi. Si tratta anche di una risposta concreta ai pericoli del possibile riaccendersi, nella regione, di sopiti conflitti di natura etnica o religiosa, che rischiano di riportare la storia, a tempi che non vogliamo rivivere mai più”.

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