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“Devi morire o restare per sempre in ospedale”: stalker assolto dal giudice

Pubblicato il 16 Giugno, 2022

“Non meriti amore, devi morire o passare il resto dei tuoi giorni sola come un cane o in un letto di ospedale”. Inviavi messaggi del genere alla ex, ma è stato assolto dal giudice.

Il motivo? Perché affetto da agorafobia, la patologia psicologica che fa rifuggire dai luoghi pubblici i soggetti che ne sono affetti.

Lo stalker fiorentino di 43 anni accusato di persecuzioni verso la ex fidanzata di Roma, terrorizzandola con pesanti minacce per due anni, quindi, per il giudice Angelo Giannetti del tribunale di Roma è innocente e lo ha assolto con formula piena “perché il fatto non sussiste” al termine del processo in rito abbreviato.

Il 43enne era accusato di aver perseguitato la ex non soltanto con messaggi tali da indurla in stato di ansia e di timore per la sua incolumità, ma anche “mostrandosi geloso e possessivo, accusandola falsamente di averlo tradito”, usava social per minacciarla di andare sotto la sua casa per “vendicarsi” e per minacciare di morte pure il nuovo compagno di lei.

Al processo gli avvocati del 43enne, Fabio Generini e Francesco Stefani, hanno presentato gli esiti di indagini difensive dalle quali risulta che da circa cinque anni il loro assistito è seguito dal centro di salute mentale della Asl di Firenze per agorafobia, una condizione per cui trascorre molto tempo in casa e ha ridotto al massimo i rapporti sociali.

La patologia, riconosciuta pure in una relazione psichiatrica di un consulente della difesa, è tale da impedirgli, hanno sostenuto i difensori, di avere relazioni sociali e tanto meno di essere in grado di raggiungere Roma per fare stalking alla ex.

Inoltre gli stessi legali hanno sostenuto che non c’era persecuzione nei confronti la ragazza di Roma, sottolineando, rispetto agli argomenti dell’accusa, che lei non ha mai cambiato abitudini di vita.

“Con ampia attività di indagine difensiva – affermano gli avvocati Fabio Generini e Francesco Stefani – abbiamo dimostrato l’insussistenza delle accuse che aveva mosso la Procura al nostro assistito, basandosi su denunce della persona offesa che avevano inizialmente portato anche all’adozione da parte del gip di Roma di una misura cautelare nei confronti del nostro assistito”.

Misura di divieto di avvicinamento che il “giudice, emettendo la sentenza di assoluzione, ha revocato”.

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