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Serena Mollicone

Serena Mollicone: si riapre il caso sull’omicidio della 18enne

Pubblicato il 22 Marzo, 2023

Si riaccendono i fari su uno dei grandi gialli italiani e su un omicidio barbaro che, a distanza di più di 20 anni, non ha ancora nessun colpevole.

La ricerca di verità sull’omicidio di Serena Mollicone continua. Procura e parti civili hanno presentato oggi il ricorso in appello, dopo la sentenza della Corte di Assise che lo scorso luglio aveva scagionato tutti gli imputati per insufficienza di prove.

Serena Mollicone, diciottenne di Arce, in provincia di Frosinone, venne uccisa il 1°giugno 2001. Il suo corpo venne ritrovato senza vita venne ritrovato due giorni dopo dalla Protezione Civile nel boschetto di Fonte Cupa, a circa 8km dalla cittadina laziale. Presentava un nastro adesivo sulla bocca e ferite alla testa.

Come stabilito dalla stessa Corte d’Assise, la giovane era stata con tutta probabilità percossa e poi soffocata: “Può senz’altro dirsi acclarato che Serena  Mollicone è stata vittima di una condotta omicidiaria commessa da una o più persone, estrinsecatasi in una prima azione lesiva, consistita in un’azione contusiva alla testa, nella zona sopraccigliare sinistra, a seguito della quale la giovane ha riportato un trauma cranico, produttivo di perdita di coscienza; successivamente Serena è con ogni probabilità deceduta per asfissia meccanica da soffocazione esterna diretta, probabilmente attraverso l’ostruzione delle vie aeree con il nastro adesivo e la chiusura del capo con il sacchetto di plastica”. 

La svolta del delitto si ha con la confessione del carabiniere Santino Tuzi che, a distanza di sette aveva riferito che lo stesso giorno dell’omicidio una ragazza corrispondendente alle caratteristiche fisiche di Serena era entrata nella Caserma dei Carabinieri di Arce, per non uscirne più. Pochi giorni dopo questa confessione Tuzi si suicidò, ma la testimonianza portò al rinvio a giudizio dei cinque imputati: l’ex comandante della caserma dei carabinieri di Arce Franco Mottola, la moglie Annamaria, il figlio Marco e i due carabinieri Vincenzo Quatrale e Francesco Suprano. 

La corte d’Assise li aveva però prosciolti con la seguente motivazione: “Gli esiti dibattimentali non offrono indizi gravi, precisi e concordanti sulla base dei quali possa ritenersi provata, oltre ogni ragionevole dubbio, la commissione in corso da parte degli imputati della condotta omicidiaria contestata”. La Corte aveva messo in discussione anche la testimonianza di Tuzi, definendola “incerta e contraddittoria”. 

Ora la Procura e i familiari replicano punto per punto a queste osservazioni. Nell’attesa che, a distanza di oltre venti anni, si faccia giustizia su un giallo che non ha ancora un colpevole. 

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