Swift, l’arma che potrebbe battere Putin, ma con quali conseguenze?

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Acronimo di Society for Worldwide Interbank Financial Telecommunication, Swift è un sistema di messaggistica sicuro, universamente accettato, che oggi costituisce lo standard per chiudere velocemente i pagamenti di beni, servizi, materie prime, prodotti energetici. Ordini, scambi in valuta, vendite e acquisti passano da lì, con oltre 11.000 aziende e istituzioni finanziarie aderenti, una presenza in oltre 200 Paesi e un traffico di 42 milioni di messaggi al giorno.

Ecco, in sintesi, in cosa consiste l’arma che l’Occidente potrebbe utilizzare contro Putin e per la quale pure il premier Mario Draghi ha manifestato parere favorevole.

L’estromissione da Swift, insomma, paralizzerebbe la finanza russa, ma l’efficacia di tale misura provoca anche timori nell’usarla.

Per escludere la Russia dalla società cooperativa fondata nel 1973 e con sede a Bruxelles servirebbe una sanzione decisa della Ue, recepita poi dalla banca centrale belga che supervisiona Swift assieme ai rappresentanti di Federal Reserve System, Bce, Banca del Giappone e altre. Avrebbe un potenziale devastante per l’economia del Paese: è già successo all’Iran nel 2012 (dove a decidere la misura su pressione degli Usa fu il board di Swift e non la Ue) e al Venezuela. Nel 2014 l’ex ministro delle Finanze ed ex sodale di Putin Alexei Kudrin aveva stimato un calo del Pil del 5% annuo come potenziale conseguenza immediata.

Ridurre la Russia a condizioni umili sui mercati finanziari e commerciali avrebbe pesanti ramificazioni internazionali. Pesa l’esposizione delle banche italiane e francesi verso Mosca, pesa l’export (specie tedesco).

Ma al centro di tutto c’è, ancora una volta, l’energia: verrebbero congelate le transazioni con la Russia cui l’Occidente, comprando gas e petrolio da Mosca al ritmo di 700 milioni di dollari al giorno, a tutt’oggi sta finanziando l’invasione dell’Ucraina.

Non è l’unica preoccupazione. L’esclusione da Swift incoraggerebbe la Russia a sviluppare sistemi alternativi: la Banca di Russia ci ha già provato nel 2014, raccogliendo però appena 400 adesioni. Una piattaforma candidabile sarebbero proprio le valute digitali (come lo yuan cui lavora Pechino) e i crypto-asset che le banche centrali occidentali cercano di contrastare. 

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Redazione Nazionale

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