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TALENT DI AUTORI – Stefano Giannotti

Pubblicato il 5 Giugno, 2021

Di Gordiano Lupi

Stefano Giannotti è nato a Piombino qualche anno fa. Ama il mare e leggere Borges, ascoltare i Beatles e vedere i film di Nolan. Laureato in scienze dell’informazione, lavora in un’azienda di servizi bancari. Ha pubblicato cinque romanzi (tra cui È un giorno a piombino e Piombino, memoria di ferro) e una silloge di poesie (Fermento di Falesia). Stefano Giannotti è il tipo di autore di cui dovrei essere invidioso – se tale sentimento fosse nelle mie corde – perché è il narratore che meglio rappresenta il mio concetto di letteratura. Le sue storie mi sono vicine perché raccontano il mio mondo, la piccola città bastardo postodi gucciniana memoria, vissuta con affetto e partecipazione. Scorro le sue pagine e faccio un tuffo nel passato che non si compone solo di ricordi, ché le storie non sono mai in secondo piano, le singole esistenze vengono adattate a un’esigenza narrativa, a un affresco quasi pittorico delle bellezze cittadine. Piombino è il centro del piccolo mondo di Giannotti, celebrato e innalzato alla dignità letteraria della Buenos Aires di Borges e della Lisbona di Pessoa, con storie che presentano risvolti fantastici, sentimentali, grotteschi, il cui protagonista resta l’ambiente cittadino, il mare, le scogliere, i vicoli della città vecchia. Giannotti parte dalla provincia, dal mondo piccolo di Guareschi, per raccontare un mondo composto di tanti luoghi di provincia, di modeste realtà fatte di lotte operaie e passione, di mare e sogni, di altiforni spenti e rimpianti. Mi accorgo che sto parlando di Giannotti con le mie parole. Ecco perché ho anticipato che dovrei essere invidioso di un simile autore, perché racconta storiemolto vicine mie ma riesce a metterci più storia. Scusate il bisticcio di parole. Non trovo altro modo per definire una narrativa che è sentimento e passione ma conserva il gusto della trama, forse non avvincente, perché Giannotti è più attento al come raccontare rispetto al quanto raccontare. Vi presento il racconto Radici che profuma di mare e ricordi, emana sentori di Proust e di Borges, mentre la poesia Fermento di Falesia segue il ritmo e le suggestioni della Buenos Aires di Borges, inserendo ricordi personali e memoria di un passato. Letteratura, signori. Vera letteratura. Leggere per credere.

Radici

Me li sento dentro certi legami, alla fine è il mio spazio. Il mio ambiente è una piccola città, un lembo di terra che si lancia verso l’orizzonte, a ponente, là dove tramonta il sole. Davanti ha una terra interamente bagnata dalle acque, il lembo di mare che le separa è detto canale. Sul vertice di questo promontorio c’è un faro e a meno di un miglio di distanza, su di un grande scoglio davanti all’isola, ve n’è un altro, come un pendolo durante la notte si alternano nel fare luce. Non hanno la stessa frequenza, per cui a intervalli regolari si accendono contemporaneamente. Una volta un amico li immortalò mentre accadeva questa coincidenza, mi colpì quella fotografia, li aveva resi eterni e statici, loro che alternavano il tempo, una volta uno, una volta l’altro, come lo scorrere di un orologio. Il procedere del tempo è diverso tra un orologio e una clessidra, non parlo di quelle orribili macchine digitali che lasciano passare la vita in silenzio come se nemmeno esistessimo. Parlo del battito delle lancette, che è quasi come una pulsazione del cuore. La clessidra scorre, come l’acqua di un fiume passa e non ritorna più, il tic tac al contrario ti illude che ci possa ancora essere un’altra volta, quel ripetersi continuo può darti la chimera che quell’amore non vissuto si possa ripetere e tu non possa ricalcare gli stessi errori. Borges affermava “se potessi tornare a vivere, comincerei ad andare scalzo all’inizio, della primavera e resterei scalzo fino alla fine dell’autunno, certamente sentire la terra che ti ha generato e l’acqua che ti fa vivere sarebbe un’esistenza migliore”, ma aggiungeva “vedete, ho ottantacinque anni e so che sto morendo”. Io ne ho quasi sessanta e non so quando morirò, forse presto, forse tardi, ma per certo non potrò cambiare il corso degli eventi. Quel mio amico però aveva fermato il tempo, la luce dei due fari era lì nel cielo della mia città, quelle due luci potevamo essere io e il mio paese, io e la mia fanciulla in fiore che ho sempre avuto nel cuore, io e la donna che mi ha sopportato per tanti anni.

Era bella quella foto, rendeva bonaccia il vento dei secondi, fermava quell’acqua nel canale che aveva visto passare tanti traghetti e la barca di mio zio, bloccava la polvere di ferro che fluttuava come polline nell’aria, le posidonie sul fondo non dondolavano mosse dalle onde, quei due spirografi non potevano chiudere le proprie branchie e il polpo non riusciva a rientrare nella tana. Non c’era in quella foto acceso spento, su e giù, andata e ritorno, vita e morte, pioggia e sereno, bianco e nero, tutto immobile, tutto bloccato per l’eternità. L’arte fa in modo di abbellire la vita. La mia città in fondo è come una donna che presenta le sue parti migliori, passeggi sul mare osservando le isole dell’arcipelago e ti perdi in quella visione infinita.

Devi ammirarla quando soffia il vento di grecale e spazza l’aria, devi osservarla al tramonto quando il sole cade a destra dell’orizzonte, proprio a fianco dell’isola più grande. È distesa per lungo, quando la vedi dal traghetto sembra una bella donna, con il seno dato dalla terrazza sul mare e i capelli dalla macchia mediterranea. Non è solo bella la mia città, presenta anche delle vie mediocri, strade banali che puoi ritrovare in qualsiasi altro luogo. Quella dove sono nato è lunga, alla fine una leggera curva a sinistra, lieve pendenza per far andare i carretti costruiti con le tavole di legno e i cuscinetti a sfera. Non passavano le auto una volta, facevamo le corse, era lunga ottanta metri, la corsia più svantaggiata aveva una FIAT 1100 parcheggiata sulla tua traiettoria. Dovevi correre più veloce del tuo avversario a fianco e superarlo, altrimenti per evitare l’auto dovevi rallentare accodandoti oppure salire sul marciapiede, ma erano secondi persi. Alle finestre c’erano tutti i panni stesi e l’asfalto era pieno di pelle umana, lasciata lì a causa delle innumerevoli cadute.

L’estate uscivamo a giocare la mattina alle nove, leggero pranzo e poi ancora a correre fino al tramonto. Quello era il mio spazio, quelle erano le mie radici, se chiudo gli occhi tutti i sensi ritornano a quel periodo ma quello più forte era l’olfatto, gli odori e i profumi, quello di pesce della pescheria all’angolo, quello dello spolverino che proveniva dalla fabbrica, quello del salmastro che veniva dal mare. Non c’era niente in quella strada, palazzi anni cinquanta con colori uno diverso dall’altro, non quelli allegri di Vernazza, ma insignificanti toni grigi. Eppure eravamo dei bambini felici, avevamo quel piccolo ambiente, ne uscivamo solo con la fantasia, nessuno avrebbe mai utilizzato quella strada per un film o per un romanzo, quale spettatore sarebbe mai interessato a una via popolare senza nessun punto di riferimento. Noi usavamo il nostro gergo, il buco, i portoncini, la segheria, ma non possono essere usati in un libro di successo. Ecco quelle erano le mie radici, una strada qualunque con delle persone comuni, ma era la mia arnia. In fondo per quanto si cerca di scappare dobbiamo tornare alla madre qualunque essa sia e dovunque sia.

FERMENTO DI FALESIA

Camminando lentamente per le vie

non quelle cariche di gente e trambusto

ma le strade quasi invisibili per l’abitudine

dolci per il tramonto e l’aria di mare

nell’ora in cui la luce è fine come sabbia

mi sento avvolto dalla nostalgia.

Non c’è angolo o passaggio

che non richiami rimorso o ricordo

la pescheria, la chiesa, la scuola

la spiaggia, il bar, l’edicola

il portone della ragazza d’allora

il campo di pallacanestro.

Le immagini del mio trascorso

mi cullano come piccole onde

vedo mio padre che mi tende la mano

vedo amici persi e amori mancati.

Il portachiavi, le camicie e l’orologio 

non sapranno mai che me ne sono andato

ma questa città non mi abbandona

aspetta che sia per sempre parte di lei

sono nato, sono stato e sempre starò a Falesia.

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