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Water to Food: con un click si può scoprire l’acqua consumata da ogni alimento

Oggi è possibile conoscere quanta acqua venga consumata per produrre i chicchi di caffè che finiscono in una tazzina o in un piatto di pasta o da ogni singolo alimento, grazie al progetto promosso dal Politecnico di Torino con il nome di “Water to food”.

Pubblicato il 29 Aprile, 2021

Torino. Oggi è possibile conoscere quanta acqua venga consumata per produrre i chicchi di caffè che finiscono in una tazzina o in un piatto di pasta o da ogni singolo alimento, grazie al progetto promosso dal Politecnico di Torino con il nome di “Water to food”.

Si tratta di un progetto di comunicazione di dati e informazioni sull’impatto che produzione e commercio internazionali del cibo hanno sulle risorse idriche mondiali e locali.

“Water to food” ha l’obiettivo di mettere a disposizione della società i dati riguardanti l’acqua virtuale contenuta nel cibo che si consuma, ovvero l’acqua che, prelevata da una nazione per coltivare e lavorare un determinato bene, si sposta con esso dal posto di produzione a quello di consumo. “Water to food” è nato durante il lockdown dall’idea di tre ricercatrici Benedetta Falsetti, Carla Sciarra e Marta Tuninetti, che hanno lavorato nell’ultimo anno al fianco di un team di esperti in comunicazione digitale.

Questi dati, prodotti negli anni dalla squadra di ricercatori e ricercatrici del progetto CWASI, sono oggi facilmente accessibili e leggibili da chiunque voglia informarsi sul tema, magari proprio mentre si trova nel momento dell’acquisto.

Basta collegarsi al sito “watertofood.org”, accedere alla sezione “Play with data” e controllare il valore della “water footprint”, l’impronta idrica del prodotto, analizzando le differenze tra i posti diversi di produzione.

Si scoprirà così che, per esempio, per produrre un chilo di caffè etiope, servono più di undicimila litri di acqua e che l’Italia importa dall’Etiopia, circa 95 milioni di metri cubi di acqua sotto forma di chicchi da tostare.

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