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Census. Contando gli americani al tempo del Covid

Negli Stati Uniti accade che ogni 10 anni si debbano contare coloro che vivono sul territorio americano, una pratica a cui non tutti gradiscono partecipare ma è importante per molte ragioni. Il 2020, oltre alle turbolente elezioni presidenziali e l’epidemia di Covid, ha portato anche il censimento, uno dei più travagliati di sempre.

Pubblicato il 20 Ottobre, 2020

Negli Stati Uniti accade che ogni 10 anni si debbano contare coloro che vivono sul territorio americano, una pratica a cui non tutti gradiscono partecipare ma è importante per molte ragioni. Il 2020, oltre alle turbolente elezioni presidenziali e l’epidemia di Covid, ha portato anche il censimento, uno dei più travagliati di sempre.


Lo sapevano anche ai tempi di Gesù Bambino e pure prima che lui nascesse, nel mezzo di un censimento disposto all’imperatore Augusto fra il 28 a.C. e il 14 d.C, contare la popolazione è una pratica molto utile. Il censimento degli individui all’interno delle comunità è infatti una pratica statistica che viene da lontano, si praticava già nell’antica Cina, fra le civiltà mesopotamiche, nell’antico Egitto ma anche fra i popoli greci, il popolo ebraico e ovviamente l’antica Roma.
Conoscere il numero di abitanti di una zona permette, da sempre, di calcolare le risorse necessarie alla comunità, valutare la composizione sociale, calibrare la politica su un territorio e progettare le forze armate.


Nel caso degli Stati Uniti, la potenza che per decenni è stata un punto di riferimento per tutto il mondo contemporaneo, il censimento serve a determinare quante persone, siano esse residenti e non, vivono sul territorio dei vari stati e in base a quel dato impostare la rappresentanza dei territori nel parlamento, decidere i fondi necessari alle amministrazioni locali per far funzionare ospedali, scuole, forze di polizia e di primo intervento ($1.50 trilioni di dollari in finanziamenti federali) e, nel caso di pandemia, impostare i test clinici dei vaccini e stimare i quantitativi di dosi necessarie. Cose serie insomma, ma nonostante ciò esistono degli abitanti un po’ riottosi che non sono entusiasti di farsi conoscere. Fra questi ce ne sono alcuni che non hanno la cittadinanza americana e vivono in assetto non stabile sul territorio. Ma la legge è sempre stata chiara, almeno fino a ora, vanno contati tutti e per ottimi motivi. Uno di questi, ad esempio, lo si è ben capito in questi mesi quando le case farmaceutiche si sono trovate a progettare i trial clinici allargati, mediante cui testare i propri vaccini su un ampio numero di volontari.
I test infatti dovevano essere implementati tenendo conto di una popolazione molto variegata, dunque assicurandosi di includere in adeguata proporzione individui provenienti dai vari gruppi etnici. Per fare ciò, gli sviluppatori dei vaccini sono andati a consultare proprio i dati del censimento precedente, integrando poi un suggerimento arrivato dal dottor Anthony Fauci che consigliava a tutti di moltiplicare per tre la percentuale, ormai datata, relativa alle minoranze.


Il primo tentativo di censimento fatto negli Stati Uniti risale al 1790. A quell’epoca gli addetti a censire la popolazione viaggiavano in groppa a un cavallo o si spostavano a piedi all’interno dei centri abitati e il loro capo, il responsabile di tutta l’operazione, era il Segretario di Stato Thomas Jefferson.
Nel 2020 invece la procedura viene gestita dal Census Bureau (CB) diretto da Steven Dillingham e il processo è quasi totalmente digitalizzato, per cui il cittadino può accedere al sito governativo dedicato al Census e inserire le proprie informazioni.
Questa svolta tecnologia però non è totalmente risolutiva, esiste infatti una fetta della popolazione che ha meno o non ha proprio accesso al mondo digitale, oppure ha meno voglia di partecipare e va motivata, dunque è necessario anche un po’ di approccio “boots on the ground”, cioè infilare gli scarponi e iniziare il giro, porta per porta, condominio per condominio. L’approccio “fisico” al censimento diventa però un bel problema in tempo di pandemia quando ci si ritrova con una marea di contagiati, di persone ospedalizzate e più di mille morti al giorno come è accaduto allo Stato di New York nella prima parte dell’anno. Così, su spinta locale e supporto di comitati preoccupati che non si riuscissero a contare tutti, il periodo di raccolta dati inizialmente previsto dal 1 aprile al 30 settembre 2020 viene esteso al 31 ottobre.


Una volta stabilita la nuova data di chiusura del censimento i problemi sembravano risolti e compensato ciò che c’era da compensare, invece il GOP (Grand Old Party, cioè il Partito Repubblicano) ha pensato di contestare questa decisione e far tornare il Census Bureau sui suoi passi ripristinando la scadenza originale.
Qualcuno potrebbe chiedersi, a questo punto del racconto, perché i repubblicani pensino sia meglio terminare prima i conteggi e la risposta qui viene dal partito avversario. Secondo i Dem infatti è una volontà specifica volontà di Trump quella di togliere tempo dando meno chance di contare le persone che son più difficili da reperire e far partecipare, ovvero le minoranze e gli immigrati. Fra l’altro, questo problema del ritardo nelle operazioni di conta è maggiormente riscontrabile in uno stato come quello di New York, che Trump avversa ed è stato uno delle poche aree ad entrare seriamente in lockdown.
Avere meno persone censite è un bel problema per New York perché questo incide in modo totale sull’amministrazione e dunque sulla popolazione. Meno abitanti equivale a meno fondi destinati al territorio, meno rappresentanza politica a Washington e perfino il rischio di ritrovarsi, in tempi di Covid, con meno dosi di vaccino rispetto a quelle realmente necessarie per immunizzare tutti e togliersi il virus di torno. Così, con il ripristino del 30 settembre come data ultima di acquisizione dati, nello Stato di New York hanno iniziato a moltiplicarsi i richiami all’azione, per continuare a ricevere risorse adeguate e mantenere un peso politico coerente all’interno della federazione. E assieme allo sprone a partecipare sono state anche offerte ampie rassicurazioni sul fatto che a nessuno sarebbe stato chiesto nulla in merito al suo immigration status.


Da agosto in poi abbiamo visto il governatore dello stato, Andrew Cuomo, twittare ai suo cittadini “Aiutateci a far sì che il New York (State) non sia sottostimato. Ditelo ai vostri amici, alla vostra famiglia, ai vostri nemici, al vostro ex, di rispondere al censimento”, poi il sindaco di New York City Bill De Blasio inventarsi un concorso a premi chiamato “Census Subway Series” per mettere in competizione fra loro i vari quartieri della città e ottenere maggior entusiasmo fra i newyorkes titubanti. E mentre nella grande città si davano un gran daffare, con il primo cittadino stesso a bussare porta a porta accompagnato dalla moglie Chirlane McCray, la tematica del Census trovava sede di discussione nei tribunali e per più di un motivo.
Se da una parte c’era chi voleva prolungare la scadenza per la raccolta dati dall’altra agiva una forza pari ma opposta, ovvero la fazione di Trump che cercava di far escludere gli immigrati dalla conta. Dunque due problemi e due ricorsi ai giudici.
Così si arriva a giovedì 10 settembre con una sentenza, emessa da tre giudici del tribunale distrettuale federale di New York, in cui si affermava che non si può escludere nessuno dal censimento e che questo caso portato alla corte “non era particolarmente complicato” perché è la costituzione stessa a prevedere una conta completa, che riguardi tutte le “persone” non solo i cittadini.


In parallelo a questa causa continuava poi a correre l’altra, in cui l’oggetto del contendere era il termine ultimo per il conteggio e dove diversi gruppi rappresentanti le minoranze e gli emarginati volevano guadagnare un po’ di tempo, per poter implementare dei “follow-up”, delle azioni supplementari per raggiungere via telefono o di persona le famiglie o le comunità che rispondono meno facendole così uscire dall’ombra. La tempistica del censimento, come sottolineato anche dal Government Accountability Office (GAO ), non era una banalità ma poteva inficiare l’accuratezza della raccolta e poi dell’elaborazione dei dati con importanti ripercussioni socioeconomiche nel decennio a seguire. Il maggior rischio, in questo frangente, era infatti di sovrastimare la popolazione bianca non ispanica e sottostimare le altre popolazioni, generalmente più difficili da censire.
Come sarà andata a finire la vicenda? Ebbene, il 24 settembre 2020 è stata emessa un’ingiunzione a firma del giudice Lucy Koh, del distretto settentrionale della California, con cui si sospendeva il termine del 30 settembre ridando come valido quello del 31 ottobre.
Ma mentre alcuni si rallegravano per l’ingiunzione dell’ultimo minuto, che sembrava salvare capra e cavoli, il 25 settembre l’amministrazione Trump faceva appello (Notice of Appeal) all’ordinanza del tribunale federale chiamando in causa il 9th U.S. Circuit Court of Appeals e rimettendo tutto in gioco per l’ennesima volta. La Corte d’Appello, da parte sua, accoglieva il caso ma al contempo dava disposizione per il proseguimento del censimento, almeno fino alla sentenza.
Così a inizio ottobre gli abitanti della federazione si son trovati con l’ennesimo punto di domanda mentre gli amministratori locali li incoraggiavano a partecipare al censimento, prima che qualcuno decidesse di porvi fine.


Nelle settimane a seguire l’istanza ha fatto in tempo ad andare dalla Corte d’Appello alla Corte Suprema dove l’amministrazione Trump ha finalmente avuto soddisfazione e il premesso di far terminare le operazioni di racconta dati, seppure con l’aperto dissenso del giudice Sonia Sotomayor che in un commento ha affermato che “La percentuale di mancata risposta” durante un censimento “è probabilmente molto più alta tra le popolazioni emarginate e nelle aree difficili da contare, come le terre rurali e tribali”.
Nello stesso merito si è espressa poi anche la speaker della House of Representatives, Nancy Pelosi, che in una sua nota furente ha dichiarato: “La decisione della Corte Suprema di consentire la vergognosa campagna del Presidente per ridurre il censimento è deplorevole e deludente. L’attacco del Presidente al conteggio del censimento e il suo rifiuto di fornire un termine oltre il 31 dicembre per la presentazione del rapporto del censimento violano chiaramente il mandato costituzionale sancito dai nostri Fondatori per un censimento equo e accurato. Inoltre, le azioni del Presidente minacciano di escludere politicamente e finanziariamente molte delle comunità più vulnerabili d’America dalla nostra democrazia.
Nonostante le molte critiche, il gran ballo delle date che ha procurato giramenti di testa a più di qualcuno si è concluso il 17 ottobre alle ore 6am Eastern Time, costituendo una sconfitta per comuni come Los Angeles, per contee come quelle che includono Houston e Seattle, per la Navajo Nation e Gila River Indian Community dell’area di Phoenix, nonché per la National Urban League che si occupa della difesa dei diritti civili.

Ma se da una parte le operazioni di raccolta dei dati erano giunte alla loro conclusione la battaglia su cosa elaborare e cosa no continuava, da una corte all’altra fino al gradino più alto, la Supreme Court of the United States (SCOTUS).
Trump e la sua squadra, non essendo intenzionati a mollare l’osso davanti alla loro base e in piena campagna elettorale, hanno insistito e ottenuto di far rivalutare la loro proposta di scorporo dal totale degli individui che al momento non risultano cittadini degli Stati Uniti.
L’iniziativa del presidente e i suoi sostenitori di escludere dal computo del Census 2020 gli immigrati non ancora regolarizzati ha come preambolo un’istanza giunta alla Corte Suprema lo scorso anno, in cui Trump proponeva di aggiungere al modulo del censimento una domanda concernete la cittadinanza. Quella proposta incontrò il no della corte con voto 5-4 .
Ma Trump ha continuato a brigare per ottenere, in un modo o nell’altro, quel risultato perché in ballo c’è un piano di ridimensionamento del peso politico di alcuni stati interessati da una forte immigrazione. Come ha osservato in precedenza la Corte d’Appello nel dare il suo parere, uno stato come la California “perderebbe due o tre seggi alla Camera dei Rappresentanti se gli stranieri illegali fossero esclusi dalla base di ripartizione”.


Si arriva così a venerdì 16 ottobre con la decisione della Corte Suprema di fissare per il 30 novembre una discussione sull’istanza sollevata da Donald Trump e valutare se gli “undocumented immigrants” siano da escludere o meno dal Census 2020.
Se la toga conservatrice Amy Coney Barrett fosse confermata e investita della carica di giudice della Supreme Court prima di quella data potrebbe partecipare alla discussione e al voto su questa questione portando, con ogni probabilità, il giudizio della corte verso le posizioni di Trump, il suo sponsor.

Fonti: 2020census.gov, smartasset.com, supremecourt.gov, CNN 18/08/2020, CNN 14/10/2020, NPR 24/09/2020, Vox 13/10/2020, Politico 13/10/2020, Reuters 14/10/2020, CNBC 16/10/2020, Associated Press 17/10/2020, NBC News 17/10/2020

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